I tentativi di suicidio: studio epidemiologico e prevenzione secondaria
I tentativi di suicidio: studio epidemiologico e prevenzione secondaria
Dott.ssa Chiara Trofa
Psicologa, Specializzanda in Psicoterapia Cognitiva Comportamentale ITC Rimini - SPDC Malpighi (BO)
Aree di interesse clinico: disturbi d'ansia, disturbi dell'umore, disturbi di personalità
Aree di interesse clinico: disturbi d'ansia, disturbi dell'umore, disturbi di personalità
Il suicidio è un fenomeno di vasta rilevanza sociale, multideterminato, la cui frequenza varia in epoche e culture diverse. Nel mondo occidentale il suicidio è tra le prime 10 cause di morte, e tra le prime tre nella fascia di età 15-44 anni: si stima un milione di morti suicidi all’anno nel mondo (oltre 2700 al giorno) . In Italia sono riportate circa 4000 morti all’anno per suicidio (di cui 3000 ascrivibili al sesso maschile) . I dati epidemiologici sui suicidi e i tentativi di suicidio provengono dall’Autorità giudiziaria (verbali e rapporti di Polizia e Carabinieri) o da quella Sanitaria (secondo i dati elaborati dall’Istituto di statistica sanitaria tratti dai certificati di morte). Tali dati, spesso non coerenti tra loro, sono (per parere unanime degli esperti), sottostimati per varie comprensibili ragioni: mancata diagnosi in caso di causale incerta, reticenza di parenti, accompagnatori etc., difficoltà diagnostiche intrinseche (es.: avvelenamenti). Le stime più prudenti riportano che per ogni suicidio riuscito sono stati messi in atto almeno 10 tentati suicidi. Su base regionale il triste primato spetta al Friuli-Venezia Giulia con un tasso di 9.8 suicidi per 100.000 abitanti, mentre il dato più basso è riportato per la Campania con un tasso di 2.6 suicidi per 100.000 abitanti (CNEL). Le stime più prudenti riportano che per ogni suicidio riuscito sono stati messi in atto almeno 10 tentati suicidi. Le figure 1 e 2 illustrano l’epidemiologia del suicidio a livello planetario e a livello nazionale.

Figura 1. Tasso di suicidio nel mondo. Fonte WHO, 2002.
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Figura 2. Tasso di suicidio in Italia, fonte ISTAT.
Considerando gli anni dal 2000 al 2008 in relazione allo stato civile si rileva un più elevato numero di suicidi accertati tra i “coniugati”(997), mentre per i tentativi di suicidio i dati più alti si registrano tra i “celibi o nubili” (1223). In relazione al genere e al titolo di studio è stato sempre rilevato un maggior numero di suicidi accertati tra i maschi con “licenza elementare” (651). In tutte le fasce d’analisi relative alla situazione lavorativa (occupati, in cerca di prima occupazione, ritirati dal lavoro e altro) il numero dei suicidi maschili è superiore a quello femminile. In tutte le categorie i maschi tentano il suicidio più delle femmine tranne che nella fascia “altro (studenti, militari di leva e inabili)”.
Il mezzo di esecuzione “impiccagione” rappresenta il mezzo più utilizzato negli agiti suicidari (1024) e viene usato in modo molto superiore dai maschi (maschi 830, femmine 194). I maschi utilizzano anche altri mezzi di esecuzione come “asfissia da gas” (maschi 104, femmine 17) e “arma da fuoco” (maschi 310, femmine 16). I risultati mostrano una correlazione con i dati di letteratura che parlano di metodi più violenti ed efficaci nel suicidio maschile.
Il numero maggiore di tentativi di suicidio è stato rilevato nella fascia “avvelenamento” (952) e riguarda molto più le femmine (659) rispetto ai maschi (293). Nel periodo 2000-2008, il numero maggiore di suicidi accertati è stato rilevato nella fascia “malattie psichiche” (1051), soprattutto nei maschi (693) rispetto alle femmine (358). Nei tentativi di suicidio rispetto al genere si può notare un andamento opposto a quello dei suicidi compiuti: si rileva infatti una preponderanza di agiti femminili soprattutto in concomitanza di malattie psichiche e motivi affettivi. La malattia psichica resta il fattore di maggiore correlazione.
Non essendoci una spiegazione comune, né una causa specifica per tutti i suicidi, non è possibile fare un’ipotesi di prevenzione assoluta.
Nonostante vi siano molti limiti, vi sono pur tuttavia delle buone ragioni per fare prevenzione:
• la decisione di togliersi la vita non è sempre certa ma spesso è accompagnata dal desiderio di vivere
• la sofferenza che porta una persona a suicidarsi, se non è conclusa con la morte, molto spesso viene superata e seguita da nuovi adattamenti che permettono di continuare a vivere
• quasi sempre un suicidio esprime la disperazione e la mancanza di vie d’uscita di chi, in quel momento, non ha visto possibilità o soluzioni al suo problema.
• Comprendere il rischio suicidario in una persona che soffre di un disturbo psichico e inviarlo ad un aiuto specifico può rendere possibile un vero intervento salva vita
• Se neghiamo o ignoriamo il rischio di suicidio possiamo contribuire all’avverarsi dell’evento.
La prevenzione secondaria è orientata alla diminuzione dell'incidenza di comportamenti suicidari in gruppi considerati ad alto rischio, quindi in particolar modo nei soggetti affetti da “patologie psichiatriche” ed in quelli che hanno “già compiuto un tentativo di suicidio”.
Soggetti che hanno già realizzato un tentativo di suicidio, in particolare, sono ad alto rischio di ripetizione dello stesso: dal 10 al 12% di questi ripete l'atto entro i dodici mesi successivi; circa l' l% va incontro a morte per suicidio nel corso dell' anno successivo, e dal 10 al 30% nei dieci anni seguenti.
Lo sviluppo di opportuni interventi di prevenzione e trattamento dei pazienti suicidari è anche imposto dal dispendio di risorse umane e finanziarie che comporta una gestione inadeguata dei pazienti che si rivolgono alle strutture sanitarie per in conseguenza di agiti autolesivi.
E’ quindi fondamentale riuscire ad individuare la correlazione tra psicopatologia e rischio suicidario, con particolare riguardo alla classificazione nosografica e alle definizioni, spesso improprie, usate per definire il “comportamento suicidario” in quanto tale, da un punto di vista fenomenologico.
Soggetti che hanno già realizzato un tentativo di suicidio, in particolare, sono ad alto rischio di ripetizione dello stesso: dal 10 al 12% di questi ripete l'atto entro i dodici mesi successivi; circa l' l% va incontro a morte per suicidio nel corso dell' anno successivo, e dal 10 al 30% nei dieci anni seguenti.
Lo sviluppo di opportuni interventi di prevenzione e trattamento dei pazienti suicidari è anche imposto dal dispendio di risorse umane e finanziarie che comporta una gestione inadeguata dei pazienti che si rivolgono alle strutture sanitarie per in conseguenza di agiti autolesivi.
E’ quindi fondamentale riuscire ad individuare la correlazione tra psicopatologia e rischio suicidario, con particolare riguardo alla classificazione nosografica e alle definizioni, spesso improprie, usate per definire il “comportamento suicidario” in quanto tale, da un punto di vista fenomenologico.
E’ opportuno quindi precisare che da un punto di vista nosografico si distinguono: suicidio riuscito, tentato suicidio, velleità suicidaria, comportamenti autolesivi, suicidosi, equivalenti suicidari.
Il suicidio riuscito, che può essere razionale od impulsivo, lascia solo il tempo ai familiari per elaborare il lutto, darsi pace e superare la perdita nonché, a chi studia l’argomento, per effettuare la cosiddetta autopsia psicologica e cioè la raccolta anamnestica, dai parenti od altri conoscenti del suicida, di elementi psicopatologici pregressi di rilievo che possano essere utili nello studio, nella prevenzione e riduzione del rischio della condotte suicidarie.
Il tentato suicidio (o suicidio mancato) è, di fatto, un suicidio vero e proprio che non è giunto a compimento solo per cause fortuite, casuali e non dipendenti dalla volontà del soggetto, che invece intendeva porre a compimento il suo intento. E’ certamente quest’ultimo il caso più impegnativo, sia dal punto di vista clinico, psicopatologico che psicoterapico e relazionale.
La velleità suicidaria invece costituisce un tentativo appena abbozzato di suicidio, che spesso si traduce in tagli superficiali, assunzione di piccole quantità di farmaci e/o tentativi compiuti in presenza di familiari o altre persone, che sottende più la voglia di dormire, allontanarsi dai problemi o richiamare l’attenzione degli altri su di questi o su di sé. Non và tuttavia sottovalutata perché potrebbe avere il significato di prova generale.
Quanto ai comportamenti autolesivi propriamente detti (o suicidio focale), si tratta di severi attacchi all’integrità del proprio corpo con intento non primariamente suicidario, quanto per constatare che si è vivi e sensibili (o il contrario) al dolore, manipolare l’ambiente, gli altri, in modo da farsi accudire, oppure in modo da trasformare un dolore psichico in dolore fisico; sono questi sintomi e comportamenti (algofilia) assai caratteristici di pazienti affetti da gravi disturbi di personalità.
Si parla invece di suicidosi (o di stile suicidario) per riferirsi a quei tentativi ripetuti nel tempo, talvolta stereotipati, tanto da configurare quasi uno stile di vita, o quantomeno di comunicazione, del soggetto.
In ultimo gli equivalenti suicidari (suicidi subintenzionali), ovvero condotte che espongono in maniera volontaria o meno a rischio di morte (sport estremi, guida ad alta velocità, ecc.) .
Nell’ambito della psicopatologia diverse sono le condizioni cliniche in cui risulta elevato il rischio suicidario. Innanzitutto i Disturbi dell’Umore: la Depressione Maggiore e il Disturbo Bipolare sono frequenti in casi di suicidio e tentato suicidio. L’ideazione suicidaria è più grave al primo episodio, se l’età è più giovane e se sono presenti anedonia, ansia ed insonnia. Fortemente implicati anche gli Stati Misti, Depressione Atipica e Depressione Psicotica, la fase depressiva del Disturbo Bipolare, specie se vi è comorbidità con Disturbo Borderline di Personalità e con l’uso di alcol e sostanze. Anche alcuni Disturbi d’Ansia, specie se associati ad abuso di alcolici e tratti impulsivi di personalità, sono correlati all’emergere di ideazione e comportamenti suicidari: Disturbo da Attacchi di Panico, Disturbo Ossessivo Compulsivo, Ansia Generalizzata, Fobia Sociale e Disturbo Post Traumatico da Stress. Nell’ambito del Disturbi Psicotici poi, è noto come il 10% di pazienti affetti da Schizofrenia muoia suicida, percentuale paragonabile a quella nei pazienti con Disturbo dell’Umore. Il rischio inoltre è più elevato nei soggetti maschi, giovani, soli e disoccupati, di istruzione più elevata, esposti a frequenti ricadute, con sintomi affettivi sovrapposti. È importante altresì considerare come la gravità dei sintomi depressivi e positivi (deliri ed allucinazioni, comportamento ed ideazione disorganizzata) sia associata ad aumento del rischio, quella dei sintomi negativi (apatia, avolizione, impoverimento affettivo e della personalità) a diminuzione dello stesso. Anche alcuni tra i Disturbi di Personalità (Disturbi Borderline e Antisociale di Personalità e, in misura minore, il Disturbo Dipendente di Personalità) sono considerati quadri psicopatologici associati ad aumento del rischio suicidario. Nei Disturbi di Personalità si registra soprattutto però una suicidalità cronica (stile suicidario), quindi si tratta più di tentativi che di comportamenti suicidari veri e propri. In questi casi il metodo tradizionalmente adottato è l’assunzione incongrua di farmaci.
Sfortunatamente, si osserva spesso un impressionante squilibrio tra l’assistenza fornita ai pazienti con potenziali intenzioni suicide e l’assistenza garantita ai pazienti con diagnosi “mediche”, malgrado il fatto che il suicidio rappresenti una così comune e spesso prevenibile causa di morte. Per molti pazienti, una visita in PS può essere l’unica opportunità di intervento prima di un suicidio compiuto. In assoluto, infatti, un precedente tentativo di suicidio è considerato il migliore predittore di un futuro suicidio portato a termine. Circa il 30% delle persone che tenta il suicidio ripeterà il tentativo entro un anno, e circa il 10% di coloro che minacciano o tentano il suicidio alla fine si ucciderà davvero. In sintesi, considerando l’importanza epidemiologica del suicidio, anche come causa di morte, e le sue pesanti implicazioni cliniche, assistenziali e medico-legali che comportano la necessità di una formazione specifica per il Medico d’Urgenza, che deve saper gestire non solo gli aspetti medici – conseguenti al trauma o intossicazione autoprocuratosi dal paziente, ma altresì gli aspetti psicologici e psicopatologici fondamentali, è necessario monitorare, attraverso l’osservazione epidemiologica, e l’intervento di prevenzione secondaria, i tentativi di suicidio nelle loro diverse forme, al fine di prevederne il rischio e diminuirlo.
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