La
pelle, com’è noto, trae origine dall’ectoderma in fase prenatale così come il
nostro Sistema Nervoso Centrale, le ricerche negli ultimi anni hanno ribadito
gli evidenti e stretti rapporti tra la cute e il Sistema Nervoso Centrale. La
pelle è organo di confine, che ci protegge dagli stimoli esterni e funge da
organo di scambio tra ambiente interno e ambiente esterno. Ma nello stesso
tempo, è un importantissimo organo di senso, che riceve continui stimoli
tattici, termici e dolorifici. Questa “zone di confine” è un luogo simbolico
sul piano psicologico e, quando si ammala, esprime spesso un conflitto
inconscio. Ma possiamo dire di più. Le tante bizzarrie della cute hanno
motivazioni oscure che ci riportano come sempre a riflettere sull’ipotetica
natura psicosomatica di essa. Mi limito a ricordare al lettore i lavori di
autori qualificati del settore, come Fenichel e Sifneos in cui si sosteneva,
già 15-20 anni fa, che la pelle in quanto apparato organico più ampio del
nostro corpo fornisce un meccanismo di separazione tra l’ambiente organismico
interno relativamente stabile e l’ambiente esterno relativamente instabile. E’
anche l’unico sistema accessibile all’osservazione diretta, per cui nel
contesto generale dei disturbi epidermici, il termine psicosomatico
caratterizza quelle affezioni cutanee che presentano un’alta incidenza di
fattori emotivi. Proprio Sifneos riscontrò in un’alta percentuale di malati
psicosomatici, una carenza di vita emozionale espressa, una vita fantasmatica
ridotta ed una difficoltà ad esprimere le proprie emozioni, a ricordare e a
raccontare sogni (anch’essi chiaramente concentrati di affetti ed emozioni).
Per descrivere questi pazienti si adotta il termine “alessitimia” (mancanza di
parole per esprimere le emozioni, questa la traduzione letterale anche se la
difficoltà risiede più che nel descrivere le emozioni nel mentalizzarle). Sia
per esperienza personale sia per studi effettuati, uno dei pazienti più
“alessitimico” risulta essere di solito il soggetto affetto da psoriasi. Questo
tipo di soggetto di solito giunge dallo psicologo dopo una medio-lunga trafila
di medici e dermatologi che di regola ascoltano di quale disturbo della pelle
soffre il paziente, osserva le lesioni ove siano presenti, emette una diagnosi
e prescrive una terapia. Lo psicosomatista invece aggiunge l’ascolto del
vissuto del paziente, cerca di conoscere a grandi linee la personalità, i
problemi psicoemotivi che lo coinvolgono e passa poi alle conclusioni. La
differenza tra la psicosomatica e la medicina è anche questa, ignoro
volutamente il dermatologo impreparato (e, ahimè, sono tanti!) il quale, senza
neppure pensare di formulare una diagnosi, prescrive subito una terapia. La vis sanatrix naturae e l’effetto placebo
spesso aiutano. Ascoltare, con attenzione e partecipazione, il racconto della
vita del paziente richiede più di dieci minuti, ma i risultati che si possono
ottenere sono soddisfacenti. D’altro canto l’ascoltatore intelligente, anche
senza una preparazione psicodinamica valente, finirà con il saper valutare le
patologie cutanee in maniera differente dal collega
“normale”. Ma voglio anche dare per scontato
che può chiaramente essere che una patologia dermatologica non abbia
effettivamente alcunchè di psichico ma sia puramente organica la sua eziologia.
Ma ritengo allo stesso tempo efficiente pensare che OGNI patologia organica
dia, in diversa misura, una sofferenza psichica.
Desidero
però detenere un cero grado di giudizio critico riguardo la risoluzione di
questi “dilemmi psicosomatici” di natura cutanea, ad esempio tornando alla
psoriasi saremo noi stesi tecnici psicologi, psicoterapeuti o psicosomatisti a
aiutare e sostenere il paziente nella sofferenza somatopsichica e collaborando
con il dermatologo e sperimentare varie terapie possibili, ma avviarlo alla
psicoanalisi è rischioso. Non confondiamo il sostegno psicologico con la
terapia del profondo. Il paziente psoriasico è nel 95% dei casi alessitimico, è
in quanto assolutamente incapace di vivere e verbalizzare le proprie emozioni
non può che evidenziarle tramite la pelle anche in psicoterapia. Situazioni
inconsce conflittuali, bypassando la psiche, si riversano direttamente sul
soma. Perchè? Il discorso è lungo ma in linea sintetica non v’è dubbio che
nella nostra società la più devastante malattia della pelle è più accettata
della malattia mentale, questo va a favore dei pregiudizi della nostro sistema
sociale nei confronti di tutto ciò che è psichico (un termine che fa ancora
paura perchè sinonimo di ignoto), compresi i malati e anche gli psicologi che
non riescono ad inserirsi in ambiti lavorativi per la prepotente ignoranza nei
contesti socio-politici-sanitari. Il paziente dunque sceglie inconsciamente il
“male minore”. Il sintomo per lui è comunque un’ancora di salvezza e andare a
stuzzicare l’anima a volte è sconsigliabile, tecnicamente è facile
“desomatizzare” il conflitto, anche in poche sedute, ma c’è il rischio grosso
di convertire il sintomo cutaneo in una psicosi. Insomma certe malattie della
pelle non vanno indagate più di tanto, è come scherzare col fuoco. Sarebbe più
indicata una terapia di sostegno, per esempio una terapia di gruppo in cui le
emozioni escano allo scoperto tra persone accomunate dallo stesso problema.
Cosa proficua sarebbe, ed il mio è quasi un appello, avviare una complice
collaborazione professionale tra psicologi e dermatologi, dove di mezzo non ci
siano altri interessi se non il miglioramento dello stile di vita del paziente.
Ricordo a tal proposito, e concludo, che Platone aveva avvertito in un suo
messaggio che: “Questo è il grande errore
dei medici del nostro tempo: tenere separata l’anima dal corpo!”. E sono
passati “soltanto” 2300 anni...è mai possibile tanta ostinazione?
Dott.
Davide Cinotti
Nessun commento:
Posta un commento