giovedì 27 giugno 2013

Il sentiero della perfezione

IL SENTIERO DEL PERFETTO TERAPEUTA

La visione accademica dello psicologo ha influenzato notevolmente l’immaginario collettivo che vede in questa figura professionale, un individuo neutrale e distaccato, freddo calcolatore e impassibile interprete di realtà psichiche diverse fra loro.
Bisogna pur ammettere che tale visione coincide purtroppo con la mentalità di molti neolaureati in psicologia che, in seguito dopo ulteriori anni spesi nel tirocinio post-lauream , tra studi più approfonditi e specializzazioni di varia natura scoprono una cocente verità: lo psicologo non può definirsi tale se nutre sentimenti di neutralità emozionale. Un buon psicologo ed un ottimo psicoterapeuta si forma invece vivendo, scambiando, nutrendo le emozioni del paziente e fondendole con le proprie.
Non è assolutamente facile percorrere questo cammino professionale, un tragitto irto di ostacoli che mette a dura prova la resistenza dell’essere umano e la fedeltà alla disciplina del professionista. Ma se i libri di testo universitari insistono sul concetto di “neutralità”  un perché ci sarà, credo che obiettivo degli Accademici sia comunque difendere il giovane laureando da situazioni pre-professionali che lo coinvolgerebbero troppo , per non dire investirebbero come un pedone sulle strisce,  dilaniandolo senza alcuna pietà. La neutralità viene inquadrata come una difesa da indossare per non farsi trascinare in situazioni che ancora non si possono conoscere a fondo. Mettere un neolaureato di fronte ad un paziente affetto da nevrosi acuta significherebbe lanciare una pecora in bocca al lupo, il giovane sarebbe attratto dalle trappole seduttive del paziente che, dall’alto della sua esperienza con i sentimenti, comincerebbe a giocare con le emozioni del poco esperto psicologo e farebbe di lui un sol boccone.
Il percorso esistenziale di uno psicoterapeuta deve invece fare i conti con tutto il complesso scenario dei propri sentimenti, a partire dal perché della scelta di intraprendere una professione così incredibilmente difficile ( e molti scelgono di iscriversi a psicologia per autodiagnosticarsi trovandosi poi più sconvolti di prima) fino ad arrivare ad avere una conoscenza pressochè perfetta della propria vita emotiva ed affettiva, delle proprie reazioni, delle proprie risorse e, ultimo ma non meno importante, dei propri limiti. La sottile arte della psicoterapia si distingue per la scaltrezza con la quale il terapeuta riesce ad ascoltare il paziente, farsi culla delle sue emozioni, inglobarle in se stesso, navigarci insieme e trovare dei punti di accordo con le proprie esperienze di vita. Obiettivo è  poter restituire alla persona che ha di fronte una elaborazione dei propri vissuti, metabolizzati dall’apparato psichico del terapeuta. Ma giungere a detenere












queste abilità non può prescindere da una unga formazione fatta di relazioni con colleghi, accettazione degli errori, rielaborazione dei propri vissuti, controllo delle proprie risposte. Immaginate che fin dalla prima seduta il paziente inizi un viaggio , si accomodi su un Jumbo di lusso, è in classe privilegiata, sia pronto a partire ma sia sicuro di non cadere mai, perché l’aereo che lo trasporta è estremamente preciso e sicuro, complesso e rapido, pronto a cambiare rotta in base alle sue esigenze, sensibile ai mutamenti dell’atmosfera, riparato dai fulmini e con un meccanismo di atterraggio antipanico,ecco quel jumbo è lo psicoterapeuta perfetto.  Una macchina complessa e tecnologica che coccoli il paziente facendolo sentire a proprio agio, che gli metta a disposizione tutto ma che abbia ben presente alcune regole di base, prima tra le quali l’autodifesa del terapeuta stesso, perché se si entra in territori (sentimenti) che il tecnico non conosce bisogna fare in modo che il paziente abbia la possibilità di cambiare, questo per salvaguardare entrambi.
Si parla spesso del transfert e del controtransfert, quei termini coniati da Freud che evidenziano il primo un trasferimento inconscio sulla figura del terapeuta di sentimenti rimossi che il paziente prova nei confronti delle figure genitoriali, il secondo del trasferimento reciproco di emozioni che il terapeuta pone in essere nei confronti del paziente. Ragion per cui spesso si corre il rischio, specie quando tra terapeuta e paziente c’è una differenza di genere sessuale, di equivocare sullo scambio di sentimenti che spesso può anche portare all’innamoramento di una delle due parti, se non proprio da entrambi le parti. Ma la differenza con l’innamoramento sui generis sta proprio nella gestione e nel controllo da parte dello psicoterapeuta di questo sentimento, finanche di nutrirlo ma che sia però funzionale ai bisogni terapeutici del paziente. Alcuni modelli psicoanalitici si pongono come obiettivo proprio quello di riproporre la nascita arcaica del sentimento personale del paziente e della sua attuazione sul piano di realtà, stando attenti però a non far cadere di nuovo il paziente in quegli errori che lo hanno indotto alla crisi.

In conclusione la perfezione di questa professione sta nel saper rielaborare, al caro prezzo di vivere e morire col paziente e poi rinascere, tenerlo per mano e far risorgere ed esorcizzare le gioie e le sofferenze dell’esistenza fino a quel momento vissuta. Allora, quale neutralità c’è ai da professare?

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