IL SENTIERO DEL PERFETTO
TERAPEUTA
La
visione accademica dello psicologo ha influenzato notevolmente l’immaginario
collettivo che vede in questa figura professionale, un individuo neutrale e
distaccato, freddo calcolatore e impassibile interprete di realtà psichiche
diverse fra loro.
Bisogna
pur ammettere che tale visione coincide purtroppo con la mentalità di molti
neolaureati in psicologia che, in seguito dopo ulteriori anni spesi nel
tirocinio post-lauream , tra studi più approfonditi e specializzazioni di varia
natura scoprono una cocente verità: lo psicologo non può definirsi tale se
nutre sentimenti di neutralità emozionale. Un buon psicologo ed un ottimo
psicoterapeuta si forma invece vivendo, scambiando, nutrendo le emozioni del
paziente e fondendole con le proprie.
Non
è assolutamente facile percorrere questo cammino professionale, un tragitto
irto di ostacoli che mette a dura prova la resistenza dell’essere umano e la
fedeltà alla disciplina del professionista. Ma se i libri di testo universitari
insistono sul concetto di “neutralità”
un perché ci sarà, credo che obiettivo degli Accademici sia comunque
difendere il giovane laureando da situazioni pre-professionali che lo
coinvolgerebbero troppo , per non dire investirebbero come un pedone sulle strisce,
dilaniandolo senza alcuna pietà. La
neutralità viene inquadrata come una difesa da indossare per non farsi
trascinare in situazioni che ancora non si possono conoscere a fondo. Mettere
un neolaureato di fronte ad un paziente affetto da nevrosi acuta
significherebbe lanciare una pecora in bocca al lupo, il giovane sarebbe
attratto dalle trappole seduttive del paziente che, dall’alto della sua
esperienza con i sentimenti, comincerebbe a giocare con le emozioni del poco
esperto psicologo e farebbe di lui un sol boccone.
Il
percorso esistenziale di uno psicoterapeuta deve invece fare i conti con tutto
il complesso scenario dei propri sentimenti, a partire dal perché della scelta
di intraprendere una professione così incredibilmente difficile ( e molti scelgono
di iscriversi a psicologia per autodiagnosticarsi trovandosi poi più sconvolti
di prima) fino ad arrivare ad avere una conoscenza pressochè perfetta della
propria vita emotiva ed affettiva, delle proprie reazioni, delle proprie
risorse e, ultimo ma non meno importante, dei propri limiti. La sottile arte
della psicoterapia si distingue per la scaltrezza con la quale il terapeuta
riesce ad ascoltare il paziente, farsi culla delle sue emozioni, inglobarle in
se stesso, navigarci insieme e trovare dei punti di accordo con le proprie
esperienze di vita. Obiettivo è poter
restituire alla persona che ha di fronte una elaborazione dei propri vissuti,
metabolizzati dall’apparato psichico del terapeuta. Ma giungere a detenere
queste
abilità non può prescindere da una unga formazione fatta di relazioni con
colleghi, accettazione degli errori, rielaborazione dei propri vissuti,
controllo delle proprie risposte. Immaginate che fin dalla prima seduta il
paziente inizi un viaggio , si accomodi su un Jumbo di lusso, è in classe
privilegiata, sia pronto a partire ma sia sicuro di non cadere mai, perché
l’aereo che lo trasporta è estremamente preciso e sicuro, complesso e rapido,
pronto a cambiare rotta in base alle sue esigenze, sensibile ai mutamenti dell’atmosfera,
riparato dai fulmini e con un meccanismo di atterraggio antipanico,ecco quel
jumbo è lo psicoterapeuta perfetto. Una
macchina complessa e tecnologica che coccoli il paziente facendolo sentire a
proprio agio, che gli metta a disposizione tutto ma che abbia ben presente
alcune regole di base, prima tra le quali l’autodifesa del terapeuta stesso,
perché se si entra in territori (sentimenti) che il tecnico non conosce bisogna
fare in modo che il paziente abbia la possibilità di cambiare, questo per
salvaguardare entrambi.
Si
parla spesso del transfert e del controtransfert, quei termini coniati da Freud
che evidenziano il primo un trasferimento inconscio sulla figura del terapeuta
di sentimenti rimossi che il paziente prova nei confronti delle figure
genitoriali, il secondo del trasferimento reciproco di emozioni che il
terapeuta pone in essere nei confronti del paziente. Ragion per cui spesso si
corre il rischio, specie quando tra terapeuta e paziente c’è una differenza di
genere sessuale, di equivocare sullo scambio di sentimenti che spesso può anche
portare all’innamoramento di una delle due parti, se non proprio da entrambi le
parti. Ma la differenza con l’innamoramento sui
generis sta proprio nella gestione e nel controllo da parte dello psicoterapeuta
di questo sentimento, finanche di nutrirlo ma che sia però funzionale ai
bisogni terapeutici del paziente. Alcuni modelli psicoanalitici si pongono come
obiettivo proprio quello di riproporre la nascita arcaica del sentimento
personale del paziente e della sua attuazione sul piano di realtà, stando
attenti però a non far cadere di nuovo il paziente in quegli errori che lo
hanno indotto alla crisi.
In
conclusione la perfezione di questa professione sta nel saper rielaborare, al
caro prezzo di vivere e morire col paziente e poi rinascere, tenerlo per mano e
far risorgere ed esorcizzare le gioie e le sofferenze dell’esistenza fino a
quel momento vissuta. Allora, quale neutralità c’è ai da professare?
Nessun commento:
Posta un commento